martedì 19 novembre 2019

Niobe e la mostra di Tivoli del 2018

e dimmi che non vuoi morire



I miti non possono morire. Non possono e, diciamocelo pure, non vogliono. E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe, è appunto il titolo – provocatoriamente ma felicemente pop – di una mostra visitabile fino a domenica nel Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli. ...
QUAL ERA IN SOSTANZA il significato del mito di Niobe per gli antichi? Che a causa di un’arroganza insensata anche un regno floridissimo poteva precipitare nella rovina. La principale conseguenza della strage è infatti il totale eradicamento della discendenza dei regnanti, l’interruzione della linea ereditaria del genos: un evento considerato una iattura in tutte le società arcaiche e tradizionali. Ma l’eccidio dei Niobidi e la successiva trasformazione in roccia della mater dolorosa ha anche altre implicazioni. Il mito sembra asseverare che esiste nei figli una coazione a ripetere le colpe dei genitori. Non va dimenticato infatti che Niobe è figlia di Tantalo, un uomo amato dagli dèi, che lo ammettevano alla loro mensa, ma che egli offese – lo narra Pindaro – rubando il cibo riservato agli immortali per farsi pari a loro: la hybris della figlia non è dissimile da quella del padre. Anche lei volle travalicare la sua natura umana, pretendendo che i tebani tributassero a lei il culto che fino a quel momento hanno tributato alla divina Latona, a cui si proclamava superiore. 

G. Pucci, Niobe che attraversa il tempo e il mito in "Il Manifesto" 18/9/2018
De Chirico

Massimiliano Di Fazio esplora in quest’ottica l’interazione fra la tradizione letteraria e quella iconografica, dalle origini al Novecento, evidenziando la multivalenza del mito, che a seconda dei contesti viene utilizzato come paradigma ora di superbia sanzionata, ora di dolore estremo da compatire. Interessante è l’idea di vedere in Niobe la figura fondatrice del lutto come pratica sociale.
Sironi
Tra le interpretazioni moderne a cui si fa riferimento, quella di
Benjamin meritava forse un approfondimento. In Per la critica della violenza, del 1921, il pensatore tedesco vede Niobe come figura emblematica del rapporto tra potere, legge e violenza. Niobe, che a differenza dei figli incolpevoli è lasciata in vita a scontare per un tempo infinito la sua colpa, è l’immagine della pietà solo apparente del diritto, il quale non elimina il colpevole unicamente perché ha bisogno di lui per confermare l’autorità di chi punisce: che è poi un’anticipazione delle teorie che Michel Foucault avrebbe sostenuto cinquant’anni dopo. Benjamin vede anche, nel mito di Niobe, una trasparente simbologia: trasformandosi in roccia inamovibile Niobe diventa come un cippo di confine inviolabile (un hóros, si diceva in greco), che marca la frontiera tra umano e divino. C’era stato un tempo in cui uomini e dèi convivevano. La stessa Niobe – ce lo dice la poetessa Saffo – era stata compagna (forse anche amante) di Latona. Ma l’eccessiva contiguità con gli dèi fomentava negli umani tentazioni pericolose. Il mito di Niobe offre perciò la giustificazione della cesura ontologica che doveva prodursi una volta e per tutte, per il bene stesso degli uomini.
Sironi

Micaela Angle, ripercorrendo la storia dei sovrani di Tebe, fa un’osservazione importante dal punto di vista antropologico: l’unione di due sovrani stranieri, come sono Niobe e il suo sposo Anfione, crea una situazione di squilibrio, in quanto viene a mancare l’apporto della componente autoctona, che invece era stata fondamentale per la fondazione della città. Lo squilibrio viene aumentato dall’eccessività di Niobe, che si manifesta tanto nella prolificità che nell’orgoglio. Il contrappasso è il totale annientamento della casa regnante, con conseguente interruzione della linea ereditaria, che in una società arcaica era una delle sciagure peggiori.
Camillo Sorce collega opportunamente il tema dell’exemplum negativo con quello della consolatio. Sapere che ad altri personaggi, anche più illustri e potenti, gli dèi hanno inflitto analoghe sofferenze, può lenire il nostro dolore. Ciò spiega perché il mito di Niobe viene raffigurato su vasi a destinazione funeraria e sarcofagi. Era un soggetto molto adatto a confortare una madre che aveva perso dei figli in giovane età.

Martinuzzi
Tra i saggi a carattere iconografico spiccano quello di Ercole Andrea Petrarca, dedicato a Niobe in Polidoro da Caravaggio, e quello di Davide Bertolini sugli artisti della prima metà del Novecento (Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Mario Sironi, Antonietta Raphaël). A causa della sua violenza, il mito ha avuto una risonanza speciale nel secondo dopoguerra. La Madre romana assassinata dai tedeschi di Leoncillo Leonardi (1945), che anticipa di un anno la celeberrima scena con la Magnani in Roma città aperta, vi allude manifestamente, così come – si potrebbe aggiungere – la splendida Niobe di Napoleone Martinuzzi collocata nel 1946 a Ca’ Foscari in ricordo dei giovani universitari caduti.

G. Pucci, Eterna Niobe da Omero alla body art in "Il Manifesto" 24/3/2019




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