mercoledì 27 novembre 2019

Programma del corso









7 incontri,  ore 21 in presenza + 15 ore di lavoro “in classe”:



2 dicembre 2019, ore 15-18: Piero BOITANI: Introduzione alla tragedia
16 dicembre 2019, ore 15-18: incontro con Cristina RICCATI, organizzatrice del campus Teatro Siracusa in collaborazione con INDA, Innovazione  nella rappresentazione del teatro classico a Siracusa: Elena e Troiane (Siracusa 2019)
22 gennaio 2020, ore 15-18: Francesco CARPANELLI: Eschilo: miti e segreti nel corpus eschileo
12 febbraio 2020, ore 15-18:Francesco CARPANELLI: Sofocle: la paideia tragica ad Atene e le Nuvole di Aristofane
7 aprile 2020, ore 15-18: Francesco CARPANELLI: Euripide: Cosmopolitismo e crisi delle ideologie in Euripide (dalle Troiane alle Baccanti)
22 aprile 2020, ore 15-18: Ermanno MALASPINA: Politica e potere nelle tragedie di Seneca
8 giugno 2020, ore 15-18: Confronto e chiusura dei lavori


 Opzione Siracusa: è prevista la possibilità di assistere agli spettacoli di Siracusa (Euripide, Le Baccanti, Ifigenia in Tauride) tra il 30 maggio e il 2 giugno. Il viaggio sarà organizzato in modo da consentire una lezione presso il parco archeologico di Siracusa e una presso il Museo archeologico regionale Paolo Orsi, nonché un incontro tecnico sulle rappresentazioni cui si assisterà. Le modalità organizzative saranno comunicate a inizio corso. La partecipazione corrisponderà a 14 ore di lezione; per coloro che non parteciperanno sarà previsto un lavoro di autoformazione sui medesimi contenuti


martedì 26 novembre 2019

Luca Ronconi e gli spettacoli di Siracusa

“M’impressiona - sono le parole del regista - il suo  rapporto fortissimo con la contemporaneità, la sua attualità infinita. Nella storia del teatro esistono, secondo me, solo due grandi momenti, quello greco e quello barocco. Il resto non è che una serie di dosaggi di quelle due forme perfette, originali e assolute. Quando il teatro diventa drammaturgia del soggetto la cosa si fa povera. Il che non significa che non sia bella. Tre sorelle di Cechov è un testo magnifico, ma paragonato alle Baccanti è teatro della povertà. E non teatro del respiro, dell'energia possente”.
 .


 Ronconi propone nel 2002 per conto dell' INDA e grazie alla coproduzione con il Piccolo Teatro di Milano una trilogia formata, insolitamente, da due tragedie, Prometeo incatenato di Eschilo e Baccanti di Euripide, e una commedia, Rane di Aristofane. 
 Nel Prometeo tutti i personaggi sono figure divine o semidei, e gli uomini sono evocati solo come destinatari del dono della tecnica fatto da Prometeo, portatore del fuoco. Ma più che della liberazione di Prometeo, si parla della fine di Zeus, del crepuscolo degli dei. Baccanti si svolge in una città (una di quelle a cui Prometeo ha fatto il suo dono) alterata e distrutta da un dio che però non ha più niente di olimpico (gli dei di quel tipo sono morti). In Rane il protagonista è lo stesso di Baccanti, Dioniso, che è anche nume di riferimento del teatro: dai temi politici e religiosi si passa a quelli estetici e culturali. È la vendetta del genere comico affidata alla lotta tra due tragici, Eschilo e Euripide, autori di Prometeo e Baccanti. C’è, ancora una volta, una città: l'Ade in cui Dioniso compie il suo viaggio ne è una metafora. È regno dei morti che specchia il mondo vivo, con situazioni legate alla realtà terrena, con gli stessi politici corrotti.


Conversazione con Luca Ronconi Intervista dal programma di sala (Prometeo)


Qualche recensione critica sulle rappresentazioni siracusane del 2002


Bibliografia/sitografia:
L. Bentivoglio, Il Teatro Greco si fa in tre, in La Repubblica, 9 aprile 2002

lunedì 25 novembre 2019

Luca Ronconi e gli spettacoli di Siracusa (Laboratorio)

workshop

1. Prometeo : la ribellione dell' uomo contro Dio
2. Prometeo : ripresa del mito nelle culture moderne
3. Prometeo a teatro: ieri, oggi,...domani?
4. Prometeo : intervista ad un eroe caduto a partire dal testo eschileo
5. Prometeo : l'evoluzione del genere umano e il rapporto tra natura e cultura attraverso i discorsi del Prometeo di Eschilo

domenica 24 novembre 2019

il teatro di Siracusa


Il teatro di Siracusa è sicuramente tra i più noti del mondo antico: opera dell’architetto Damocopo detto Mirylla è situato all'interno del Parco archeologico della Neapolis, sulle pendici sul lato sud del colle Temenite. Sebbene la costruzione risalga probabilmente al 238 e il 215 a.C., il teatro fu sottoposto a  interventi di ristrutturazione nel III secolo a.C. , forse ai tempi di Gerone II, e subì ulteriori modifiche nella prima età augustea, quando la cavea venne modificata in forma semicircolare, tipica dei teatri romani, anziché a ferro di cavallo e furono realizzati i corridoi che permettevano l'accesso all'edificio scenico. La stessa scena venne ricostruita in forme monumentali con nicchia rettangolare al centro e due nicchie a pianta semicircolare sui lati, nelle quali si aprivano le porte sceniche. Fu inoltre scavata una nuova fossa per il sipario, con la sua camera di manovra. In epoca tardo-imperiale si ebbero altre consistenti modifiche, destinate ad adattare l'orchestra a giochi acquatici e fu probabilmente arretrata la scena.

Del teatro è conservata la parte scavata nella roccia del colle Temenite, mentre parte della cavea ed i monumentali resti della scena di età romana sono andati perduti, forse a causa del riuso dei blocchi e da parte degli Spagnoli che se ne sarebbero serviti per realizzare le fortificazioni di Ortigia tra il 1520 ed il 1531.

La cavea del teatro è di grandissime dimensioni, uno dei più grandi del mondo greco, con 67 ordini di gradini interamente scolpiti nella roccia ed è divisa in nove cunei da otto scalette ed in senso orizzontale, a metà circa, da un corridoio (diàzoma) che la divideva in due settori. Sulla recinzione sono incisi in corrispondenza dei cunei nomi di divinità (Zeus Olimpio, Eracle) e di membri della famiglia reale (lo stesso Gerone II, sua moglie Filistide, la nuora Nereide).  Alla sommità della cavea, nel settore occidentale, era un portico a “L” di cui rimane visibile una banchina, tagliata nella roccia, riferibile alla fondazione del colonnato frontale. Sono visibili inoltre lembi della pavimentazione in cocciopesto e fori per travi. Tipica caratteristica dei teatri greci è anche la valorizzazione della visione panoramica, cui il teatro di Siracusa non doveva essere esente, offrendo la visione dell'arco del porto e dell’isola di Ortigia.

sabato 23 novembre 2019

Istituo Nazionale Dramma Antico




Nel 1913 il conte Mario Tommaso Gargallo, con l’intento di ridare vita al dramma antico e consegnarlo a punti di vista sempre differenti, decise di promuove il teatro antico con un primo ciclo di spettacoli classici (inaugurato il 16 aprile 1914 con Agamennone di Eschilo). Sebbene l'avvento della prima guerra mondiale determinò un brusco arresto al progetto, nel 1921 il teatro riprese la sua attività con le Coefore di Eschilo con una eco così forte da portare a Siracusa Filippo Tommaso Marinetti.


Sarà solo nel 1925 però che, con regio decreto n.1767, a seguito dell'entusiasmo provocato in Mussolini della visione de I sette a Tebe e Antigone, messe in scena nel 1924, nacque l'Istituto nazionale del dramma antico di Siracusa. Nel 1927 viene rappresentata anche per la prima volta una commedia, Le Nuvole di Aristofane.



Da allora, sebbene con alterne vicende l'INDA si è sempre impegnata nella realizzazione delle stagioni teatrali in un primo momento con cadenza biennale e dal 2001 annuale.
Sin dai primi anni, l'INDA non ha limitato la propria attività al solo Teatro Greco di Siracusa, dal momento che fin dal 1929 la sfera di competenza dell'Istituto era stata estesa a tutto il territorio nazionale.
Numerose  rappresentazioni hanno avuto luogo a cura dell'INDA anche in altri teatri greci e romani quali il teatro di Segesta, Taormina, Tindari, Selinunte,  Pompei, Gubbio, Paestum, Urbino e altri.

 Altra importante attività legata all'Inda è l'accademia d'arte del dramma antico, una scuola di Alta formazione teatrale tra le più prestigiose in Italia.


Siracusa 2019

Progetto di didattica di lingue classiche sulle tragedie messe in scena a Siracusa, maggio 2019 (Elena di Euripide, Le Troiane di Euripide).


Il dolore dei vinti.   



Non c'è una sola Elena al mondo


venerdì 22 novembre 2019

Le supplici

Le supplici (Ἱκέτιδες / Hikétides) di Eschilo è la tragedia che apre una trilogia di cui facevano parte a seguire Gli Egizi e Le Danaidi, ormai perse.




La tragedia si apre sull'arrivo ad Argo delle Danaidi, che fuggono per evitare le nozze con i cugini, i figli di Egitto, fratello di Danao. Raggiunto il recinto sacro, chiedono al re Pelasgo aiuto e ospitalità secondo legge sacra degli dei. Il re, sebbene timoroso, convoca l'assemblea che deliberi o meno sull'accoglienza delle fanciulle. Questa voterà all'unanimità di accogliere le fanciulle e la città, all'arrivo degli egizi, si prepara alla inevitabile guerra.




La tragedia si chiude sul canto di ringraziamento delle fanciulle per Argo e i suoi abitanti. 

Nel 2015 Moni Ovadia mette in scena questa tragedia a Siracusa

Intervista a Moni Ovadia
Lo spettacolo 

martedì 19 novembre 2019

Niobe e la mostra di Tivoli del 2018

e dimmi che non vuoi morire



I miti non possono morire. Non possono e, diciamocelo pure, non vogliono. E dimmi che non vuoi morire: il mito di Niobe, è appunto il titolo – provocatoriamente ma felicemente pop – di una mostra visitabile fino a domenica nel Santuario di Ercole Vincitore a Tivoli. ...
QUAL ERA IN SOSTANZA il significato del mito di Niobe per gli antichi? Che a causa di un’arroganza insensata anche un regno floridissimo poteva precipitare nella rovina. La principale conseguenza della strage è infatti il totale eradicamento della discendenza dei regnanti, l’interruzione della linea ereditaria del genos: un evento considerato una iattura in tutte le società arcaiche e tradizionali. Ma l’eccidio dei Niobidi e la successiva trasformazione in roccia della mater dolorosa ha anche altre implicazioni. Il mito sembra asseverare che esiste nei figli una coazione a ripetere le colpe dei genitori. Non va dimenticato infatti che Niobe è figlia di Tantalo, un uomo amato dagli dèi, che lo ammettevano alla loro mensa, ma che egli offese – lo narra Pindaro – rubando il cibo riservato agli immortali per farsi pari a loro: la hybris della figlia non è dissimile da quella del padre. Anche lei volle travalicare la sua natura umana, pretendendo che i tebani tributassero a lei il culto che fino a quel momento hanno tributato alla divina Latona, a cui si proclamava superiore. 

G. Pucci, Niobe che attraversa il tempo e il mito in "Il Manifesto" 18/9/2018
De Chirico

Massimiliano Di Fazio esplora in quest’ottica l’interazione fra la tradizione letteraria e quella iconografica, dalle origini al Novecento, evidenziando la multivalenza del mito, che a seconda dei contesti viene utilizzato come paradigma ora di superbia sanzionata, ora di dolore estremo da compatire. Interessante è l’idea di vedere in Niobe la figura fondatrice del lutto come pratica sociale.
Sironi
Tra le interpretazioni moderne a cui si fa riferimento, quella di
Benjamin meritava forse un approfondimento. In Per la critica della violenza, del 1921, il pensatore tedesco vede Niobe come figura emblematica del rapporto tra potere, legge e violenza. Niobe, che a differenza dei figli incolpevoli è lasciata in vita a scontare per un tempo infinito la sua colpa, è l’immagine della pietà solo apparente del diritto, il quale non elimina il colpevole unicamente perché ha bisogno di lui per confermare l’autorità di chi punisce: che è poi un’anticipazione delle teorie che Michel Foucault avrebbe sostenuto cinquant’anni dopo. Benjamin vede anche, nel mito di Niobe, una trasparente simbologia: trasformandosi in roccia inamovibile Niobe diventa come un cippo di confine inviolabile (un hóros, si diceva in greco), che marca la frontiera tra umano e divino. C’era stato un tempo in cui uomini e dèi convivevano. La stessa Niobe – ce lo dice la poetessa Saffo – era stata compagna (forse anche amante) di Latona. Ma l’eccessiva contiguità con gli dèi fomentava negli umani tentazioni pericolose. Il mito di Niobe offre perciò la giustificazione della cesura ontologica che doveva prodursi una volta e per tutte, per il bene stesso degli uomini.
Sironi

Micaela Angle, ripercorrendo la storia dei sovrani di Tebe, fa un’osservazione importante dal punto di vista antropologico: l’unione di due sovrani stranieri, come sono Niobe e il suo sposo Anfione, crea una situazione di squilibrio, in quanto viene a mancare l’apporto della componente autoctona, che invece era stata fondamentale per la fondazione della città. Lo squilibrio viene aumentato dall’eccessività di Niobe, che si manifesta tanto nella prolificità che nell’orgoglio. Il contrappasso è il totale annientamento della casa regnante, con conseguente interruzione della linea ereditaria, che in una società arcaica era una delle sciagure peggiori.
Camillo Sorce collega opportunamente il tema dell’exemplum negativo con quello della consolatio. Sapere che ad altri personaggi, anche più illustri e potenti, gli dèi hanno inflitto analoghe sofferenze, può lenire il nostro dolore. Ciò spiega perché il mito di Niobe viene raffigurato su vasi a destinazione funeraria e sarcofagi. Era un soggetto molto adatto a confortare una madre che aveva perso dei figli in giovane età.

Martinuzzi
Tra i saggi a carattere iconografico spiccano quello di Ercole Andrea Petrarca, dedicato a Niobe in Polidoro da Caravaggio, e quello di Davide Bertolini sugli artisti della prima metà del Novecento (Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Mario Sironi, Antonietta Raphaël). A causa della sua violenza, il mito ha avuto una risonanza speciale nel secondo dopoguerra. La Madre romana assassinata dai tedeschi di Leoncillo Leonardi (1945), che anticipa di un anno la celeberrima scena con la Magnani in Roma città aperta, vi allude manifestamente, così come – si potrebbe aggiungere – la splendida Niobe di Napoleone Martinuzzi collocata nel 1946 a Ca’ Foscari in ricordo dei giovani universitari caduti.

G. Pucci, Eterna Niobe da Omero alla body art in "Il Manifesto" 24/3/2019




lunedì 18 novembre 2019

mater dolorosa


La figura della mater dolorosa è un archetipo che esprime un paradosso nella vita della donna, ma possiamo dire anche una contraddizione che suona come uno scandalo inaccettabile all’interno della vita stessa. La donna che dà la vita è anche destinata a soffrire non solo nel dare la vita al figlio, ma ancora e di più nel sapere che il figlio è destinato a soffrire e morire. Eppure ella non può dire che ‘fiat’, al pari di Maria, archetipo divino, piegandosi al mistero della vita e della morte.



due famosi esempi della nostra cultura occidentale:
Kerényi (in Gli Dei della Grecia p. 205) descrive la tragedia di Niobe, una madre primordiale e archetipica della mitologia greca.
«Niobe appariva in Beozia come sposa di Alalcomeneo (l’uomo primordiale) e quindi madre primordiale degli uomini […]
Gli altri racconti nei quali non si diceva che Niobe fosse stata la prima moglie e la madre degli antenati delle stirpi greche, parlavano del gran numero dei suoi figli e della sua rivalità con la dea Leto che aveva partorito soltanto la coppia dei fratelli Apollo e Artemide. Una volta Leto e Niobe erano state molto amiche – così diceva la nostra grande poetessa Saffo. Al tempo di quell’amicizia certo non vi era separazione tra gli dei e gli uomini. 
Altra madre dolorosa del mondo greco è la dea della terra, conosciuta sotto il nome di Demetra. La sua sovranità sulla vita nascente si ricollega a quella sulla morte, perché quanto ella partorisce ritorna nuovamente al suo grembo materno.


archetipo della vita    Maria Pia Rosati in "atti del Convegno Figure archetipali- tracce sui sentieri dell'uomo- Bracciano 3-4 ottobre 2009



domenica 17 novembre 2019

La Niobe silente



 Il silenzio è eloquente e denuncia il vuoto argomentativo delle parole in certi contesti, ed impone al destinatario di prestare maggiore attenzione al codice comportamentale e tacito del mittente con cui ha instaurato un dialogo... Esso, infatti, si traduce quasi sempre in doppi intendimenti: comunicare l’inesprimibile, costringere il destinatario a indagare la motivazione della perdita della parola. Per tale ragione, è bene ricavare il contesto nel quale si adopera questa modalità comunicativa, in modo da comprenderne l’uso. Il fenomeno del silenzio come atto espressivo trova larga testimonianza nel teatro tragico del V secolo a.C., ove ottiene effetti variegati, talvolta con esiti persino più efficaci della parola. Già per l’Euripide aristofaneo (cfr. Ar. Ra. 923-926) il silenzio è sintomo di puro artificio esteriore, uno strumento di dilatazione, che serve a dare maggiore enfasi alle parole lungamente attese dagli spettatori. Nel teatro antico è Eschilo a farne uso in maniera significativa: per il tragediografo, il tacere diviene lo strumento per introdurre la potenza della parola e, nel contempo, per dare espressione all’intimità del personaggio, al suo essere superiore, al suo dramma; il tutto, poi, è d’ausilio all’azione drammaturgica, in quanto il successivo recupero della parola da parte del personaggio silente impone uno slancio notevole al corso del dramma, avviandolo alla conclusione....la Niobe è quella che meglio denota la funzionalità scenica del silenzio...Niobe tace perché ha subito una disgrazia e il suo dolore consuma fino a esaurire la comunicazione verbale.
Pertanto, il silenzio evidenzia l’incapacità umana di comprendere il senso della realtà e di spiegarlo mediante il linguaggio; il personaggio austero e nobile nasconde le proprie fattezze dietro ad un velo, segno distintivo di dolore e di vergogna; il singolo, isolato nel proprio dolore, si oppone alla potenza numerica e sacrale del Coro, che non smette di dialogare con gli altri personaggi ....La rappresentazione realistica del pianto difficilmente poteva essere percepibile agli spettatori seduti molto lontani dalla scena, e fra gli elementi che aiutavano ad esplicare il dolore vi erano una componente fonica costituita da interiezioni, grida, gemiti, e una componente gestuale, difficile da ricostruire con precisione, ma che potrebbe consistere in azioni come chinare il capo, velare il viso, prostrarsi per terra... In merito alla figura di Niobe che tace in Eschilo, è stato suggerito che il fenomeno si debba all’adesione da parte del tragediografo ai riti dei misteri eleusini e ad una probabile influenza dell’orfismo nelle sue opere, fra le quali si enumera proprio la Niobe. Infatti, il comportamento della mater dolorosa rispecchierebbe in alcuni punti il rituale eleusino, che è narrato nell’Inno omerico a Demetra. Qui, la dea rifiuta di mangiare (vv. 49-50), non risponde alle domande di Ecate (v. 59), ha il capo velato (v. 182) ed è in silenzio (v. 194); la dea e la mortale sono entrambe accomunate dalla perdita dei figli, l’una di Persefone rapita da Ade, l’altra dell’intera prole sterminata per la vendetta di Latona, ed il silenzio è elemento che avvicina alla morte. L’accostamento di Niobe e Demetra è stato interpretato da Foccardi (1983, p. 132) come un richiamo alla fecondità, d’altronde il silenzio è in alcuni culti misterici parte del rituale che ha lo scopo di promuovere proprio la fecondità, sicché esso simboleggerebbe nel caso di Niobe la rinascita dei figli morti, in quello di Demetra la resurrezione di Persefone. Tuttavia, la frammentarietà del dramma e le scarse conoscenze sui misteri eleusini, impediscono di comprovare una simile interpretazione, che resta, dunque, a un livello puramente speculativo. Ritengo, invece, che il non parlare sia da ricondurre maggiormente ad una necessità performativa, volta a rendere visibile un lutto che provoca un dolore inesprimibile.


La Niobe silente di Eschilo: una proposta interpretativa  (tratto da articolo di Daniela Immacolata Cagnazzo su Gilgames 2  pp5-9).

sabato 16 novembre 2019

Niobe (laboratorio)

Workshop
1. il mito di Niobe e l'affermazione del potere attraverso la legge della violenza, sulla base dell'interpretazione di Benjamin
2.la mater dolorosa tra mondo classico, cristiano e culture moderne
3 comunicare l'inesprimibile:il silenzio

venerdì 15 novembre 2019

Niobe nelle metamorfosi di Ovidio


Metamorfosi di Niobe, roccia che piange


Metamorfosi 6, 146-312  testo in lingua originale

Strage dei figli di Niobe- Tintoretto- Palazzo Ducale di Modena

Niobe disperata assiste alla morte dei suoi figli (1591), dipinto di Abraham Bloemaert (CopenaghenStatens Museum for Kunst).



traduzione di Paduano-Galasso 2000

sabato 2 novembre 2019