Il silenzio è eloquente e
denuncia il vuoto argomentativo
delle parole in certi contesti, ed
impone al destinatario di prestare
maggiore attenzione al codice comportamentale e tacito del mittente
con cui ha instaurato un dialogo... Esso, infatti, si traduce quasi sempre in doppi
intendimenti: comunicare l’inesprimibile, costringere il destinatario a
indagare la motivazione della perdita della parola. Per tale ragione, è
bene ricavare il contesto nel quale
si adopera questa modalità comunicativa, in modo da comprenderne
l’uso. Il fenomeno del silenzio come
atto espressivo trova larga testimonianza nel teatro tragico del V secolo a.C., ove ottiene effetti variegati,
talvolta con esiti persino più efficaci della parola. Già per l’Euripide
aristofaneo (cfr. Ar. Ra. 923-926) il
silenzio è sintomo di puro artificio
esteriore, uno strumento di dilatazione, che serve a dare maggiore
enfasi alle parole lungamente attese
dagli spettatori. Nel teatro antico è
Eschilo a farne uso in maniera significativa: per il tragediografo, il
tacere diviene lo strumento per introdurre la potenza della parola e,
nel contempo, per dare espressione
all’intimità del personaggio, al suo
essere superiore, al suo dramma;
il tutto, poi, è d’ausilio all’azione
drammaturgica, in quanto il successivo recupero della parola da parte
del personaggio silente impone uno
slancio notevole al corso del dramma, avviandolo alla conclusione....la Niobe è quella che meglio
denota la funzionalità scenica del
silenzio...Niobe tace perché ha subito una disgrazia e il suo dolore consuma fino a esaurire la comunicazione verbale.
Pertanto, il
silenzio evidenzia l’incapacità umana di
comprendere il senso della realtà e di spiegarlo mediante il linguaggio; il personaggio
austero e nobile nasconde le proprie fattezze
dietro ad un velo, segno distintivo di dolore
e di vergogna; il singolo, isolato nel proprio
dolore, si oppone alla potenza numerica e sacrale del Coro, che non smette di dialogare
con gli altri personaggi ....La rappresentazione realistica del
pianto difficilmente poteva essere percepibile agli spettatori seduti molto lontani dalla
scena, e fra gli elementi che aiutavano ad
esplicare il dolore vi erano una componente
fonica costituita da interiezioni, grida, gemiti, e una componente gestuale, difficile da
ricostruire con precisione, ma che potrebbe
consistere in azioni come chinare il capo,
velare il viso, prostrarsi per terra... In merito alla figura di Niobe che tace in
Eschilo, è stato suggerito che il fenomeno si
debba all’adesione da parte del tragediografo
ai riti dei misteri eleusini e ad una probabile influenza dell’orfismo nelle sue opere,
fra le quali si enumera proprio la Niobe. Infatti, il comportamento della mater dolorosa rispecchierebbe in alcuni punti il rituale
eleusino, che è narrato nell’Inno omerico a
Demetra. Qui, la dea rifiuta di mangiare (vv.
49-50), non risponde alle domande di Ecate
(v. 59), ha il capo velato (v. 182) ed è in silenzio (v. 194); la dea e la mortale sono entrambe accomunate dalla perdita dei figli, l’una
di Persefone rapita da Ade, l’altra dell’intera
prole sterminata per la vendetta di Latona,
ed il silenzio è elemento che avvicina alla
morte. L’accostamento di Niobe e Demetra è
stato interpretato da Foccardi (1983, p. 132)
come un richiamo alla fecondità, d’altronde
il silenzio è in alcuni culti misterici parte del
rituale che ha lo scopo di promuovere proprio la fecondità, sicché esso simboleggerebbe nel caso di Niobe la rinascita dei figli
morti, in quello di Demetra la resurrezione di
Persefone. Tuttavia, la frammentarietà del dramma e le
scarse conoscenze sui misteri eleusini, impediscono di comprovare una simile interpretazione, che resta, dunque, a un livello puramente speculativo.
Ritengo, invece, che il non parlare sia da
ricondurre maggiormente ad una necessità
performativa, volta a rendere visibile un lutto
che provoca un dolore inesprimibile.
La Niobe silente di Eschilo: una proposta interpretativa (tratto da articolo di Daniela Immacolata Cagnazzo su Gilgames 2 pp5-9).
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