domenica 17 novembre 2019

La Niobe silente



 Il silenzio è eloquente e denuncia il vuoto argomentativo delle parole in certi contesti, ed impone al destinatario di prestare maggiore attenzione al codice comportamentale e tacito del mittente con cui ha instaurato un dialogo... Esso, infatti, si traduce quasi sempre in doppi intendimenti: comunicare l’inesprimibile, costringere il destinatario a indagare la motivazione della perdita della parola. Per tale ragione, è bene ricavare il contesto nel quale si adopera questa modalità comunicativa, in modo da comprenderne l’uso. Il fenomeno del silenzio come atto espressivo trova larga testimonianza nel teatro tragico del V secolo a.C., ove ottiene effetti variegati, talvolta con esiti persino più efficaci della parola. Già per l’Euripide aristofaneo (cfr. Ar. Ra. 923-926) il silenzio è sintomo di puro artificio esteriore, uno strumento di dilatazione, che serve a dare maggiore enfasi alle parole lungamente attese dagli spettatori. Nel teatro antico è Eschilo a farne uso in maniera significativa: per il tragediografo, il tacere diviene lo strumento per introdurre la potenza della parola e, nel contempo, per dare espressione all’intimità del personaggio, al suo essere superiore, al suo dramma; il tutto, poi, è d’ausilio all’azione drammaturgica, in quanto il successivo recupero della parola da parte del personaggio silente impone uno slancio notevole al corso del dramma, avviandolo alla conclusione....la Niobe è quella che meglio denota la funzionalità scenica del silenzio...Niobe tace perché ha subito una disgrazia e il suo dolore consuma fino a esaurire la comunicazione verbale.
Pertanto, il silenzio evidenzia l’incapacità umana di comprendere il senso della realtà e di spiegarlo mediante il linguaggio; il personaggio austero e nobile nasconde le proprie fattezze dietro ad un velo, segno distintivo di dolore e di vergogna; il singolo, isolato nel proprio dolore, si oppone alla potenza numerica e sacrale del Coro, che non smette di dialogare con gli altri personaggi ....La rappresentazione realistica del pianto difficilmente poteva essere percepibile agli spettatori seduti molto lontani dalla scena, e fra gli elementi che aiutavano ad esplicare il dolore vi erano una componente fonica costituita da interiezioni, grida, gemiti, e una componente gestuale, difficile da ricostruire con precisione, ma che potrebbe consistere in azioni come chinare il capo, velare il viso, prostrarsi per terra... In merito alla figura di Niobe che tace in Eschilo, è stato suggerito che il fenomeno si debba all’adesione da parte del tragediografo ai riti dei misteri eleusini e ad una probabile influenza dell’orfismo nelle sue opere, fra le quali si enumera proprio la Niobe. Infatti, il comportamento della mater dolorosa rispecchierebbe in alcuni punti il rituale eleusino, che è narrato nell’Inno omerico a Demetra. Qui, la dea rifiuta di mangiare (vv. 49-50), non risponde alle domande di Ecate (v. 59), ha il capo velato (v. 182) ed è in silenzio (v. 194); la dea e la mortale sono entrambe accomunate dalla perdita dei figli, l’una di Persefone rapita da Ade, l’altra dell’intera prole sterminata per la vendetta di Latona, ed il silenzio è elemento che avvicina alla morte. L’accostamento di Niobe e Demetra è stato interpretato da Foccardi (1983, p. 132) come un richiamo alla fecondità, d’altronde il silenzio è in alcuni culti misterici parte del rituale che ha lo scopo di promuovere proprio la fecondità, sicché esso simboleggerebbe nel caso di Niobe la rinascita dei figli morti, in quello di Demetra la resurrezione di Persefone. Tuttavia, la frammentarietà del dramma e le scarse conoscenze sui misteri eleusini, impediscono di comprovare una simile interpretazione, che resta, dunque, a un livello puramente speculativo. Ritengo, invece, che il non parlare sia da ricondurre maggiormente ad una necessità performativa, volta a rendere visibile un lutto che provoca un dolore inesprimibile.


La Niobe silente di Eschilo: una proposta interpretativa  (tratto da articolo di Daniela Immacolata Cagnazzo su Gilgames 2  pp5-9).

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